venerdì 8 gennaio 2016

Styletto Challange


Rispondo ad un appello, proposto quasi più come un gioco, un divertimento, che ha la forza di scavare nella parte più intima e fragile di tutte noi. Tutte noi, si, perché è successo a tutti di fallire, ma non a tutti di raccontare il proprio fallimento, il proprio imbarazzo, la fatica di chi realizza quello che sta accadendo, il timore e a volte una certa pigrizia “auto-protettiva” di rialzarsi, l’ansia di scappare via da tutto ed infine la gioia pulita e pura di quando si riconosce che qualcosa di buono è accaduto e lo abbiamo fatto accadere noi.

Mi sono chiesta quale caduta potessi raccontare, quale è il mio miglior fallimento, che osservato da qualche centimetro più su, quando cioè ormai mi sono rialzata, potrebbe essere utile per capire quanto sono stata capace di cadere, in fondo tutti cadono.
Devo rialzarmi, tocca a me - e solo a me - per tornare a camminare sulle mie gambe! Sono io che devo rimettere su me stessa, devo saper chiedere aiuto!
Se penso alle mie cadute, penso ad un grande imbarazzo, alla paura di mostrare al mondo la mia fragilità, il mio errore. Risollevata poi, riconosco il mio errore, misto ad un fastidioso senso di colpa per non aver saputo gestire o controllare un fallimento prima che fosse fallimento.

Di chi? Io? Mai caduta! Caduta?

Oh mio dio si! Oh mio dio certo!

Non ricordo tutti i miei fallimenti (perché sono milioni di milioni), ma ricordo quello, forse unico, da cui mi sono rialzata.
Ero a terra devastata, offesa, arrabbiata, tradita, inconsolabile come una bambina con un ginocchio rotto e sanguinante, ero goffa persa in tutto il mio dolore, eppure guardando ora quei giorni li trovo stupendi.
Erano intensi! Amavo la pioggia, le coperte e il te caldo.
Mi sono presa cura di me, mi sono accudita e curata a lungo da sola, ho imparato a correre per non perdere un minuto di vita.
Ho imparato a truccarmi tutti i giorni per dirmi che meritavo il mio rispetto.
Ho amato i miei errori e le mie cadute, ho amato profondamente il mio dolore, con quella nebbia fredda che ti spacca dentro, gli occhi mi si sono aperti e ho cominciato a guardare.
…E sono rinata, mi sono affacciata ancora incerta e indolenzita, da una piccola finestra socchiusa a osservare fuori.
Infreddolita e impaurita se c’era troppa luce, mettevo i miei nuovi passi con un tacco un po’ timido, che piano piano è diventato più sicuro e leggero.
Ho imparato a fare vere falcate da donna adulta con il forte intenso ricordo della bambina che ero.